Appeso a quel che resta del resto
della notte. Portami via dal sommario,
sommesso brusio degli assenti
da quella fila di numeri soppressi.
25, 1 e poi 2, libero e laico
terno secco del vissuto resistente.
Liberazione, Lavoro e Costituzione
che mi sento di morir. Come se
storia, identità e memoria
possano essere immaginarie
caselle di una tombola irrisoria
su cui poggiare i fagioli del nostro ora.
A misurare la distanza tra i toni di un’alba
i contorni sfumati dei tramonti.
Clessidre da girare per decreto reale
onnipotenza del faraone, da far convergere
in unico corpo di significato tra
il museo del non ancora e quello del mai più.
Con un audace colpo di coda estivo.
Mausoleo del né carne né pesce
né buono né cattivo, astemio per ignoranza
vegetariano per parca moderazione.
E ci resterà accanto solo l’inginocchiatoio
collettivo del santo patrono e del vescovo
tentacolare. E facciamoci su un ponte
che in un colpo solo li congiunga
quel 25 aprile al primo maggio, e via di corsa
al due di giugno, laicamente protesi alla vita
spudoratamente festeggianti,
riappropriamoci dei fanti e
senza pudore giochiamoci tutti i santi.
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